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“Per il colore della mia pelle?”

Treno Intercity Roma-Torino. Un giovane controllore, molto gentile nei modi, arriva, si accerta della validità di ogni biglietto in carrozza e passa oltre. Ma, inaspettatamente, dopo pochi minuti torna, si guarda intorno e punta il ragazzo seduto vicino a me.
“Il biglietto?” gli chiede sgarbatamente.
Il ragazzo, stupito, risponde con grande cortesia “ma… me lo ha appena guardato, a dire il vero”.
“Poche storie, lo hai il biglietto o no?”
“Ma sì, certo, ma è passato poco fa…”
“E tu fammelo rivedere lo stesso”
“Eccolo…”. Glielo porge. Il controllore fa il suo controllo e glielo restituisce. “Ci voleva tanto? A quest’ora avevamo già finito” e se ne va, su questa nota scortese, senza controllare per la seconda volta nessun altrə.
Il ragazzo rimette il biglietto in tasca, testeggiando amareggiato.

Potrei dirvi che all’apparenza nessun motivo valido può giustificare questo episodio spiacevole. Ma il motivo c’è, purtroppo. Ed è razziale, perché il ragazzo è l’unico in carrozza ad avere la pelle scura e un forte accento straniero.

Provo quindi una sensazione di colpa. Capisco che, stando in silenzio, in quanto giovane e bianca di pelle come il controllore, non farei altro che contribuire in qualche modo a quella ingiustificata umiliazione. Sento l’urgenza di dissociarmi dal quel comportamento, di farmi sentire, di far sapere che non tuttə giovanə italianə sono così.

Mi giro quindi verso il ragazzo e gli rivelo il mio dispiacere per l’episodio. Lui si gira, evidentemente felice di ricevere comprensione e mi dice: “Io parlo 4 lingue. Ho viaggiato per tutta la Germania, per tutta l’Inghilterra. Mai mi è capitato di essere trattato in questo modo. Per cosa, poi? Per il colore della mia pelle? È semplicemente assurdo”.

Parliamo ancora per un po’, mentre attraversiamo le stazioni della Liguria.
Parliamo di coloro che ancora quotidianamente associano una precisa etnia alla criminalità assicurata.
Di quanto sia deleterio crescere in questo subdolo e costante bombardamento (mediatico e non).
Di come condividiamo la speranza che le nuove generazioni vivano una società in cui questa associazione mentale tra etnia e criminalità sia finalmente abolita.

Spero in un 2050 più equo, giusto, rispettoso delle diversità, capace di giudicare le persone per le loro azioni puntuali, piuttosto che per il colore della loro pelle.