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Occasioni mancate

“Giulia, Giulia sai che ieri ti ho salutata mentre andavi in bici?”

Chiunque abbia avuto a che fare con dei bambini sa perfettamente che essere riconosciuti e chiamati per nome fuori dall’ambiente dove di solito siamo in relazione con loro, è piuttosto emozionante. Significa non solo che si ricordano di te ma che hanno voglia di salutarti. Purtroppo quel pomeriggio non ho visto la piccola manina che si agitava in aria per dirmi “Ciao”, ma il fatto che la diretta interessata me lo abbia raccontato il giorno dopo, mi ha resa quasi più felice: dimostrava che per lei era importante farmelo sapere. Il doposcuola accoglie numerosi bambini e volontari, e tra mascherine, incombenze scolastiche e distanziamento, è inutile negare che instaurare un rapporto non sia facilissimo. Magari esagero ma quel piccolo episodio mi è sembrato l’inizio di qualcosa di più rispetto al semplice supporto ai bambini per fare i compiti. Ero veramente sincera quando le ho risposto: “Ah Zaria mi dispiace non averti vista”.

 

“Fa niente, eri con tuo figlio!” A questo punto ho iniziato a dubitare del fantomatico riconoscimento. Eppure Zaria ha descritto così bene il mio vestiario che era impossibile che mi avesse scambiata per un’altra persona. Inutile dire che non sono riuscita a trattenere una gran risata quando ho capito che in effetti la ragazza in bici ero proprio io ma il passeggero non era mio figlio… era la mia ragazza.

 

Bastava qualche parola per chiudere il caso, probabilmente anche Zaria e le altre bambine attorno a noi avrebbero riso e poi avremmo continuato a giocare, visto che quel giorno i compiti erano pochi ed erano stati terminati in fretta. Invece ho esitato e non perché la famiglia di Zaria viene da lontano ed è religiosa e neanche perché credevo che gli altri educatori avrebbero contestato. Ho esitato perché in quel momento una cosa così semplice come spiegare un piccolo malinteso e fare coming out, mi sembrava terribilmente complicata.
“E se fosse la prima volta che ha a che fare con una situazione simile? E se anche per le altre bambine fosse così?”
Forse sarebbe stato faticoso scegliere per la prima volta le parole con cui trattare l’argomento con quei piccoli esseri umani ma alla fine decisi di risolvere l’equivoco.

 

Sfortunatamente l’esitazione è durata un secondo di troppo: Zaria è stata chiamata da un amico e, insieme al gruppetto, è corsa via per giocare a Un, due, tre, stella!
Poteva essere un episodio insignificante e invece dopo la fine delle lezioni e del doposcuola sono ancora qua a rifletterci. In un certo senso è stato meglio così: al momento non avevo le parole -ammesso che non saprò mai se mi avrebbero chiesto spiegazioni o meno. E questo non perché l’identità di genere e l’orientamento sessuale siano difficili da spiegare ma perché ancora in molti pensano che parlare di determinate tematiche sia troppo problematico e allora si preferisce tacere. Il risultato è che al di fuori di alcuni ambienti in cui le persone si sentono a proprio agio, di certe questioni non siamo abituati a parlare.

 

Il problema è che quando non si parla di qualcosa o qualcuno, quel qualcosa non esiste. Per Zaria probabilmente sono una mamma come tante, forse solo un po’ più giovane della media, ed è profondamente ingiusto. Non tanto per me, ma per lei perché non solo le ho involontariamente confermato una falsità ma le ho fatto perdere l’occasione di scoprire qualcosa di nuovo, fosse anche un piccolo gossip sulla ragazza che la aiuta a fare i compiti.

 

Chissà, magari un giorno Zaria avrà ragione e porterò i miei figli in bici, oppure lo farà lei prima di tornare a casa dalla sua compagna; se quel giorno arriverà, in quanti ancora esiteranno?