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Uova di struzzo, galline e energia elettrica

La scorsa Pasqua ho assaggiato per la prima volta un uovo di struzzo: è stata un’esperienza suggestiva. Non ho riscontrato realmente molte differenze con un comune uovo di gallina, del resto la sostanza è sempre quella: tuorlo e albume, solamente in quantità maggiore. Per aprirlo spesso consigliano di usare martello e cacciavite, in quanto non è possibile farlo a mani nude; seppur a fatica, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Svanito l’entusiasmo iniziale, ci siamo resi conto di avere davanti ai nostri occhi una caterva di materia prima disponibile: troppa per noi. In preda al panico, armati di padella, abbiamo trasformato il contenuto di quella grossa bacinella in due frittatone di patate.

Sono passati parecchi giorni ormai, eppure ci penso ancora. Ho fatto due calcoli: ieri sono andato al supermercato e ho comprato sei uova, le ho pagate due euro e venti centesimi se non sbaglio, circa trentacinque centesimi l’una. Un uovo di struzzo costa sui venticinque euro ed equivale a venticinque di gallina: è un po’ come se le avessi pagate circa un euro l’una. Non sono mai stato un guru della finanza eppure, in un corso di economia aziendale, mi è stata inculcata una legge importantissima: più costruisci in grande, più risparmi in percentuale. “Guardi, ci sono tanti altri fattori in gioco, non può semplificare così tanto la questione”: mi ricordo ancora questa frase pronunciata dal mio professore durante l’esame orale. Effettivamente è vero: lo struzzo è un animale meno diffuso, ci vogliono allevamenti attrezzati appositamente, cure e trattamenti particolari, ma soprattutto un suo singolo uovo è eccessivo per una persona normale, perciò sarà meno richiesto. Dall’altro lato ci sono le nostre fidate amiche pennute: molto diffuse, meno impegnative da allevare e producono numerose uova, piccole e più economiche.

Quindi le uova di struzzo sono inutili? Non proprio: semplicemente non fanno a caso mio, ma per una famiglia numerosa potrebbero rappresentare un’eccellente risorsa.

 

Provate ora a rileggere l’intero racconto in chiave diversa. Al posto di tuorlo e albume, immaginate che stia parlando di energia elettrica: l’insieme di mangimi, medicinali, attrezzature e così via che servono a mettere in piedi un allevamento sono in realtà i vari elementi che portano alla costruzione e al mantenimento di un impianto elettrico, mentre le famiglie sono Stati o regioni.

Infine, una provocazione: i due uccelli sono entrambi centrali nucleari. Lo struzzo rappresenta le classiche centrali di grossa taglia, mentre le galline uno degli strumenti che potrebbe aiutarci maggiormente nella lotta contro l’emissione di CO2: gli Small Modular Reactors, SMR.

Mi rendo conto che, un po’ per disinformazione e un po’ per sindrome NIMBY (Not-In-My-Backyard), in Italia l’opinione pubblica sia fortemente contro l’impiego del nucleare, ma attualmente c’è la necessità di affiancare alle fonti rinnovabili qualcosa di stabile, in grado di sostituire quanto più possibile i combustibili fossili.  Un SMR sarebbe molto più facile da gestire e costruire, nonché verrebbe accettato più facilmente dalla popolazione locale: svariati sistemi di sicurezza passivi e meno rifiuti prodotti i suoi punti di forza. Uno solo di questi moduli potrebbe bastare, se affiancato alle rinnovabili, per esempio a defossilizzare l’intera Sardegna, una delle zone europee a maggior emissione di CO2.

C’è bisogno di mettere da parte la paura, informarsi adeguatamente e rendersi conto che le rinnovabili, da sole, non possono bastare.

 

Qualcuno di voi vorrebbe un uovo di gallina?